Potestà/Responsabilità genitoriale. Padri o padroni?

Potestà/Responsabilità genitoriale. Padri o padroni?

É recente, la pronuncia del Comitato Etico sul rispetto della “volontà” della persona di minore età nei riguardi della vaccinazione per Covid-19.

Una pronuncia che ribadisce i principi affermati dalla Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia del 1989, principi enunciati dalla Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea (Carta di Nizza) del 2000, principi recepiti dall’Italia e dall’intera Comunità Europea e che semplicemente dicono questo: “il fanciullo” è persona, soggetto di diritti inalienabili e non più solo oggetto di tutele e cure da parte degli adulti.

Tra i diritti insopprimibili della “persona” di minore età, viene riconosciuto appunto quello di esprimere la propria opinione in tutte le questioni che lo riguardano, al fine di vedere esercitato questo diritto.

Ma ora che il Comitato Etico afferma che questo diritto va semplicemente rispettato in ambito di vaccinazione, ecco che i benpensanti “si strappano le vesti” appellandosi alla “potestà genitoriale”.

“Potestà” che in realtà da anni il legislatore ha reinterpretato come “responsabilità”, al fine di garantire all’infanzia una reale tutela da parte degli adulti che ne hanno la “legal custody” e che devono quindi garantire il raggiungimento del suo preminente interesse.

E cos’è questo interesse preminente, come si declina a livello di scelte concrete?

Iniziamo a dire che certamente il <em>preminente interesse</em> non si declina in una conflittualità tra adulti e persone di minore età.

Giungere ad una tale contrapposizione rivelerebbe infatti una profonda e insanabile ferita di un rapporto che esprime non tanto la filiazione quanto la genitorialità. Una genitorialità responsabile e consapevole che guarda al figlio come altro da sé; una genitorialità che si interroga su come accompagnare il fanciullo verso una progressiva e graduale autonomia, una genitorialità sempre in ascolto, capace di intuire le istanze profonde dei figli e di riconoscerli come persone, uniche e irripetibili.

Ma la persona è sempre il frutto delle relazioni.

Una relazione fondata sul valore dell’altro non come mezzo ma come fine, una relazione orientata al bene comune e non alla sopraffazione, una relazione libera da ricatti affettivi e liberata da qualsiasi pretesa di contraccambio; in questa relazionalità ci si può riconoscere come persone, chiamate a vivere insieme per diventare famiglia. Una famiglia generativa, aperta alla vita e al suo imprevedibile dinamismo, dal momento che l’altro ci sorprende sempre, ci trascende, ci confonde, ci supera in ogni attesa.

Se l’altro è un fanciullo allora siamo nel mistero di un divenire. Un già e non ancora, un presente senza passato, un futuro che chiede di compiersi con il nostro aiuto e senza diventarne padroni.

Ecco allora la riflessione che ci viene suggerita dalla scelta del Comitato Etico: quale interesse stiamo cercando di tutelare per i nostri figli.&nbsp; Una riflessione urgente, una riflessione con importanti ripercussioni.

Sarebbe bene per affrontare il tema, deporre ogni pregiudizio. Avere il coraggio di dire che come adulti ci siamo sentiti più padroni che padri. Ognuno a suo modo.

Se per un solo momento abbiamo sognato qualcosa per il futuro dei nostri figli secondo i nostri desideri, siamo stati padroni.

Espressioni come “è mio figlio e decido io” dovrebbero davvero essere bandite dalla comunità degli uomini.

Un figlio non è una proprietà, non è un bene, non è il bastone della vecchiaia, non ha chiesto di venire al mondo, non è la realizzazione dei nostri insuccessi.

Guardare i figli con questa mentalità significa averli già persi.

La pandemia ha duramente messo alla prova tutta la sfera delle relazioni, anche di quelle più intime e quotidiane. I ragazzi sono stati sconvolti da qualcosa che non avevamo mai visto prima e che li ha costretti a confrontarsi all’improvviso con la malattia, con la morte dei propri cari, con la separazione dagli amici e dalle figure più significative.

Mai come oggi l’infanzia reclama accanto a sé adulti capaci di ascoltare, di farsi accanto, di assumere le contraddizioni senza trasformarle in conflitti.

Mi sono sempre chiesta perché a proposito dei bambini Cristo afferma che “i loro angeli nel cielo vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli”. Forse dovremo ripartire da qui. Se gli Angeli dei fanciulli, dei ragazzi, dei giovani vedono sempre la faccia di Dio che è Padre forse nell’infanzia è nascosto il segreto di cosa realmente sia la paternità e la maternità.

Allora torniamo a guardare con stupore negli occhi dei piccoli il riflesso del volto di Dio. Chissà che in questo riflesso non sia dato scoprire la cifra di una genitorialità affrancata dalla Legge e restituita alla Vita. Una genitorialità che non porti i figli a difendersi da padri e madri come da tiranni o padroni.

Una genitorialità che sappia fare spazio all’altro, al figlio; genitori custodi di una vita che chiede di realizzarsi in pienezza ma che non gli appartiene.